Tutti nella vita sperimentano l'ansia in modo più o meno intenso e per periodi più o meno lunghi. Essa è una risposta normale dell'organismo allo stress e a eventi o oggetti percepiti come pericolosi. In questo senso, sebbene sgradevole, l'ansia è "utile". Se, però, compare in assenza di una reale minaccia o diventa sproporzionata rispetto alla situazione o troppo persistente o intensa, l'ansia può interferire con le normali attività della persona e diventare un problema.

Cos'è l'ansia?

L’ansia è una sensazione assolutamente normale e comune, che tutti nella vita provano. Potremmo definirla brevemente come uno stato di agitazione, forte apprensione e preoccupazione, come una sensazione di “essere sulle spine”, tesi o irritabili. Sebbene sia chiaramente qualcosa di sgradevole, ne dobbiamo riconoscere gli aspetti funzionali. Infatti, l’ansia «è una parte necessaria della risposta dell’organismo allo stress» (Sims, 2003, p. 423 tr. it.) e ha una sua utilità: essa «induce uno spostamento dell’attenzione sulla fonte di pericolo, in modo che l’individuo diventi più attento ai segnali di minaccia rilevanti e sia, dunque, più portato a provare paura, con la conseguente attivazione del sistema nervoso autonomo necessaria per l’“attacco o fuga” di fronte a una minaccia percepita come imminente» (First et al, 2017, p. 153 tr. it.). Insomma, semplificando, potremmo dire che l’ansia – all’occorrenza – ci mette in allerta e dunque nella condizione di reagire con tempestività a un pericolo potenziale.

Ovviamente, non sempre l’ansia e la paura sono adattive (cioè funzionali a un buon adattamento): talvolta, possono comparire in assenza di una reale minaccia o pericolo oppure possono essere eccessive, sproporzionate rispetto alla situazione; possono essere presenti troppo spesso o durare troppo a lungo ed essere talmente intense da interferire con le normali attività della persona. In questo caso, fare cose anche comuni, come andare a una cena con amici o accingersi a un esame, può richiedere un grande sforzo e diventare difficile o apparire impossibile.

Attenzione: ci sono molte attività (come sostenere un esame all’università o parlare in pubblico e tante altre) che suscitano una particolare ansia normalmente, e non dobbiamo aspettarci che la “normalità” o la “salute mentale” siano rappresentate dal restare costantemente, qualsiasi cosa si faccia o accada, in uno stato di tranquillità, serenità e senso di controllo assoluto delle proprie emozioni!

Come si manifesta l'ansia? I sintomi caratteristici

Il modo in cui l’ansia si manifesta mostra una grande variabilità da persona a persona. Anche la sua intensità è estremamente variabile: si può provare una sensazione vaga e leggera di apprensione oppure si possono sperimentare momenti di ansia intensa (che vengono comunemente chiamati “attacchi di ansia” o confusi con gli “attacchi di panico”, dai quali però differiscono, come dirò dopo e come ho accennato anche nell’articolo sugli attacchi di panico e il disturbo di panico). Non c’è una durata definibile di uno stato d’ansia: può durare minuti, giorni, mesi o anni.

I sintomi dell’ansia più comuni, cioè i modi in cui essa tipicamente si manifesta, possono essere avvertiti come più di tipo “psichico” o più di tipo “fisico”: in particolare, possono esserci “stati emotivi” come paura, irritabilità, panico, preoccupazione, apprensione e sensazioni come tensione muscolare, palpitazioni o battito cardiaco accelerato, fiato corto, nausea, dolore o fastidio addominale, bocca secca, dolore o fastidio al petto, senso di vertigine o svenimento, sudorazione, brividi o vampate di calore, “nodo in gola”, agitazione, irrequietezza. Possono talvolta comparire difficoltà di concentrazione o ad addormentarsi o mantenere il sonno. A volte, la persona può identificare dei pensieri che accompagnano i momenti/periodi di ansia, come per esempio l’idea di non essere all’altezza di certe situazioni oppure pensieri che esprimono la preoccupazione per qualcosa (il lavoro, una condizione di salute, ecc.); altre volte, la sensazione d’ansia è più vaga e non collegabile a particolari pensieri. Inoltre, possono esserci modifiche dei propri comportamenti e attività: per esempio, si può notare di mangiare di più o di meno perché si avverte più o meno appetito del solito o si possono evitare le situazioni temute. Quella dell’evitamento è una reazione comune (e comprensibile) alle situazioni o oggetti temuti: essa può, infatti, alleviare momentaneamente l’ansia. Il prezzo da pagare, però, è quello di limitare anche fortemente le proprie attività. Inoltre, spesso non si pensa al fatto che il risultato dell’evitare in modo costante e ripetuto certe situazioni può essere quello di rinforzare la paura per esse e la convinzione che non si possa affrontarle.

Attenzione: se una persona riconosce di avere alcune emozioni, sensazioni o comportamenti qui descritti, questo non significa automaticamente che abbia un disturbo d’ansia.

I disturbi d'ansia

Nota bene: come cerco sempre di sottolineare, non bisogna andare alla ricerca necessariamente di un “nome” per le proprie sensazioni o il proprio malessere. Inoltre, l’“etichetta” della diagnosi psichiatrica dice molto poco circa il problema vissuto da ciascuno. Essa può essere anche controproducente, perché può portare la persona a identificarsi col “suo” disturbo e può dare a lei, e a volte anche a chi le è vicino, l’idea di essere in una situazione immodificabile.

Ciò detto, molte etichette diagnostiche sono entrate nel linguaggio comune e moltissime persone oggi dicono cose come “soffro di attacchi di panico”, “sono ossessivo-compulsivo”, “ho l’agorafobia”. Dunque, proverò a parlare, qui di seguito, di alcuni termini “tecnici” che fanno riferimento all’argomento che stiamo qui trattando, con l’intento di soddisfare il desiderio delle persone di informarsi ma anche e soprattutto di dare il più possibile l’idea di quanto sia necessario non “produrre” da soli delle diagnosi (per sé o per altri) e non “affezionarsi” alle etichette diagnostiche: anche se a volte l’attribuire un nome al proprio malessere può dare una sensazione di sollievo, l’uso e l’utilità di questi “nomi” sono limitati a scopi ben più ristretti di quelli che credo immaginino le persone che non hanno una formazione psicologica. Inoltre, come ho più volte evidenziato, per fare una diagnosi non è sufficiente riconoscere la presenza di qualche sintomo specifico, ma è necessario valutare diversi altri aspetti, tra cui la presenza di un disagio significativo o la “compromissione del funzionamento” in vari ambiti. Si tratta di aspetti che solo un esperto del settore può valutare opportunamente, e talvolta per gli stessi esperti può essere difficile giungere a una diagnosi specifica.

In generale, potremmo dire che i disturbi d’ansia sono caratterizzati da uno stato di ansia, apprensione o paura eccessive (cioè sproporzionate rispetto alla situazione o alla durata), che esita in comportamenti di evitamento e che causa alla persona un disagio significativo e/o una compromissione del suo “funzionamento” (un termine abbastanza antipatico usato nei manuali diagnostici per riferirsi a come la persona “funziona” nei suoi contesti di vita, per esempio quanto i sintomi interferiscono nella sua quotidianità e nella sua vita sociale, lavorativa, scolastica, ecc.).

Nel DSM-5 (il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, quinta edizione, cui ho accennato in un articolo dedicato alla diagnosi psicologica) c’è un capitolo dedicato ai disturbi d’ansia. Lì ritroviamo il disturbo d’ansia di separazione, il mutismo selettivo, la fobia specifica, il disturbo d’ansia sociale o fobia sociale, il disturbo di panico, l’agorafobia, il disturbo d’ansia generalizzata (oltre al disturbo d’ansia indotto da sostanze/farmaci o dovuto a un’altra condizione medica).

Tutte queste problematiche hanno caratteristiche specifiche diverse: differiscono per il tipo di situazione o oggetto che suscita l’ansia, per il tipo di ansia o paura provate, per i comportamenti di evitamento (cercare di evitare le situazioni o le cose temute) messi in atto. Per esempio, nelle fobie specifiche l’ansia o la paura sono collegate a un determinato oggetto o situazione (i serpenti, l’altezza, ecc.); nel disturbo d’ansia sociale l’ansia o la paura sono legate a situazioni sociali che prevedono l’esposizione dell’individuo a un potenziale esame da parte di altri; nel disturbo d’ansia generalizzata ci sono ansia e preoccupazione eccessive per vari eventi o attività ed esse vengono provate più o meno costantemente per parecchio tempo (almeno 6 mesi); nel disturbo di panico ci sono attacchi di panico ricorrenti inaspettati (picchi di ansia, paura o disagio intensi improvvisi e di breve durata).

Quello che comunemente si intende quando si dice di essere “sempre ansiosi” potrebbe rientrare, se volessimo scegliere un nome tra quelli che ho elencato qui sopra, nel cosiddetto “disturbo d’ansia generalizzata” (potrebbe, cioè non è affatto detto che il malessere che si prova sia inquadrabile in un “disturbo”).

"Attacchi di ansia" e attacchi di panico

Le locuzioni “attacchi di panico” e “attacchi di ansia”, negli ultimi anni, sono entrate nel lessico comune e sono divenute molto popolari; inoltre, esse sono spesso usate in modo indiscriminato per indicare dei momenti in cui l’ansia viene avvertita come particolarmente intensa. In realtà, “attacco di ansia” non è un termine “tecnico”, mentre “attacco di panico” è una locuzione presente nei manuali diagnostici (ma non è un disturbo mentale) e designa una condizione specifica, come ho cercato di spiegare nell’articolo sugli attacchi di panico e il disturbo di panico: ricorrere ad essa per riferirsi genericamente a momenti di ansia più intensa è pertanto improprio.

Un'altra locuzione divenuta nota: "ansia anticipatoria". Cosa significa?

L’ansia anticipatoria è quella sensazione di angoscia, paura, disagio, ansia che una persona può provare prima di trovarsi in una situazione temuta alla quale sa o teme di stare andando incontro. Il pensiero di dover affrontare una tale situazione mette la persona in allerta – potremmo dire – e può condurla a evitare i luoghi o le circostanze ritenuti “a rischio” o nei quali teme che potrebbe riprovare sensazioni sgradevoli già provate in passato o assumere comportamenti che l’hanno fatta sentire a disagio. Per esempio, se una persona in qualche circostanza ha provato, su un mezzo pubblico o a una cena con amici, un forte disagio magari anche accompagnato da sensazioni come tachicardia o dal timore di arrossire o avere qualche altra manifestazione esteriore del proprio malessere, potrebbe poi avere ansia al solo pensiero di ritrovarsi in situazioni simili (e, forse, potrebbe cercare di evitarle), poiché potrebbe immaginare, già prima di esservi, quanto di negativo potrebbe succedere.

Anche in questo caso, occorre tenere presente che è una cosa assolutamente normale provare una certa “quantità” di ansia al pensiero di dover affrontare talune situazioni.

Bibliografia

American Psychiatric Association, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fifth Edition, DSM-5, Arlington, VA, 2013 [Tr. it. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Quinta edizione, DSM-5, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2014].

M. B. First et al., Learning DSM-5 by Case Example, American Psychiatric Association Publishing, Washington, 2017 [tr. it. Dal DSM-5 alla clinica. Casi esemplificativi, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2019].

A. Sims, Symptoms in the Mind. An Introduction to Descriptive Psycopathology, Elsevier Science Limited, 20033 [tr. it. Introduzione alla psicopatologia descrittiva, Raffaello Cortina Editore, Milano, 20043].